Intervista con gli studenti del Liceo

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di Antonio Desiderio –

  – A quasi due mesi dall’inizio dell’anno scolastico, il Liceo Classico-Scientifico non ha ancora trovato una collocazione. Le classi restano divise tra i vecchi laboratori dell’Ippolito Nievo e la IV Novembre. Ne discutiamo con il Rappresentante d’Istituto in pectore Emanuele Ramazio.

Allora, Emanuele, come va?

Beh, insomma…

Ci spieghi.

In realtà non c’è molto da spiegare. O meglio, non più, almeno sotto il profilo della comunicazione con gli organi istituzionali. Abbiamo già spiegato tutto alle autorità politiche locali e al Ministro della Pubblica Istruzione.

E com’è andata?

Il Ministro ci ha assicurato che si sarebbe occupata della vicenda. Ma non abbiamo ancora visto nulla. Da quel che ci risulta non c’è stato alcun contatto con la Città Metropolitana. Mentre il Sindaco, dal quale siamo stati a colloquio qualche giorno fa, ci ha promesso che avrebbe vagliato tutte le ipotesi possibili per risolvere il problema.

Nel corso del Consiglio Comunale di Ottobre la Delegata alla Scuola Manuela Massa ha detto che il problema non è così grave come l’Opposizione vorrebbe far credere, dal momento che, cito, “gli studenti non sono per strada, ma sono in aule al coperto”. Che ne pensa?

Il punto non è stare per strada piuttosto che al chiuso, o viceversa. Entro certi limiti, si potrebbe fare lezione ovunque. E’ vero siamo al coperto, ma siamo frammentati. Le prime due classi del Liceo sono collocate alla Scuola Elementare IV Novembre. Mentre le altre tre nei vecchi laboratori della Scuola Media Ippolito Nievo. Se volessimo ragionare in termini di ‘abbiamo o meno la testa al coperto’, tutto ciò non sarebbe un problema. Ma non bastano un tetto e quattro pareti per fare di una scuola una vera scuola.

Cioè?

Oggi si tende a pensare che per formare uno studente basta che ci sia un insegnante che ti spieghi degli argomenti. Se questo fosse vero, allora non ci sarebbe neanche bisogno di aule: di quel luogo fisico che comunemente chiamiamo Scuola. A questo punto sarebbe sufficiente il monitor di un computer, una connessione internet e un professore dall’altra parte del cavo che parli. Magari anche non in tempo reale, ma attraverso una registrazione preconfezionata. E’ un po’ questa la tendenza introdotta con le università on-line. Le quali, da un lato, danno la possibilità a chi, per motivi di lavoro o anche economici, non può permettersi di andare fisicamente all’università, seguire corsi, o fittare un appartamento se fuori sede; dall’altro stanno in un certo senso contribuendo a far perdere di vista il significato di Scuola.

E, allora, cos’è la Scuola?

La Scuola è scambio. Scambio di informazioni, esperienze e conoscenze. Quando ero al primo anno di superiori ricordo che cercavo il contatto con gli studenti più anziani. Un contatto del quale ho assolutamente beneficiato. Oggi, da diplomando, vorrei poter fare lo stesso con i più giovani, ma non posso. Riteniamo che il fatto di stare insieme, di condividere spazi comuni (possibilità che le circostanti presenti negano), sia necessario per attivare un processo di crescita che non è solo formativa, ma anche civile. La Scuola è uno spazio che riproduce, in scala ridotta, la società. E’ lo spazio dove ognuno è per forza di cose costretto ad uscire dallo spazio ‘ristretto’ della propria individualità per confrontarsi con quello più ampio della comunità. E’ dove si impara a calibrare le proprie esigenze individuali con quelle dell’altro. E’ dove si apprende l’esistenza di regole e norme, senza le quali l’esistenza della società stessa sarebbe impossibile. Stare insieme significa anche avere la possibilità di maturare una coscienza collettiva. Fase cruciale nel momento in cui si sollevano istanze, anche a livello politico come in questo caso. Ecco, allora, che la Scuola come luogo fisico, diventa luogo di formazione della comunità dei cives, dei cittadini.

E questi processi rischiano di essere compromessi.

Sì, anche perché non abbiamo avuto il supporto che ci aspettavamo sia dalla politica che dalla popolazione.

In che senso?

La politica, e parlo sia della Maggioranza che dell’Opposizione, ci ha dato l’impressione di essere preoccupata più di mettere il cappello sull’argomento, per una questione di propaganda, che di essere effettivamente interessate a risolvere il problema. Le urla e le provocazioni che queste si sono scambiate nel corso del Consiglio Comunale di Settembre non sono state uno spettacolo confortante. Fino ad oggi si è parlato tanto, ma nulla di concreto è stato fatto. La popolazione ci ha fornito il proprio supporto, è vero. C’è stata una certa mobilitazione, che però si è sgonfiata. I genitori degli studenti delle Medie, ad esempio, non vedono di buon occhio la nostra presenza nei locali della scuola. Poterci trasferire nei locali della scuola significherebbe lasciare delle aule, quelle dei vecchi laboratori, non proprio adeguati, per aule senza dubbio meglio attrezzate. Poi c’è un fatto ulteriore.

Quale?

Presto molti studenti delle medie potrebbero essere studenti del Liceo. Il problema della collocazione del Liceo non è, dunque, solo degli studenti del Liceo, ma anche degli studenti delle Medie. Ed è, sicuramente, un problema di tutta la comunità. Negli anni scorsi si è evitata la perdita del Liceo, aggiungendo l’indirizzo scientifico al classico. Oggi, data la situazione, rischiamo di perdere tutto. Dal punto di vista dell’offerta formativa, una tale frammentazione delle classi non fa di certo bene. Che tipo di prospettiva si offre agli studenti che sono in procinto di ottenere la Licenza Media? Probabilmente quella dell’emigrazione forzata sulla terraferma – la quale dovrebbe essere una libera scelta piuttosto che una costrizione.

Quindi, mi pare di capire, sono tre i livelli istituzionali che sono stati coinvolti dagli studenti: governo centrale, amministrazione provinciale (Città Metropolitana), amministrazione locale. Nessuno dei quali ha, almeno fino ad ora, fornito risposte adeguate.

Si. Dopo l’incontro con il Ministro Giannini, non abbiamo ricevuto alcun segnale; benché, un impegno, anche solo verbale, era stato preso perché il Ministero si occupasse del problema. La Città Metropolitana sembra ritenere che la situazione di frammentazione attuale sia la soluzione migliore e, pertanto, non fa nulla per modificarla. L’Amministrazione comunale, di fatto, fino ad ora non ha fatto nulla di concreto per superare questo stallo; così che continuiamo a restare divisi tra edifici differenti, orari differenti, senza spazi comuni, senza una prospettiva futura. Insomma, questa non è scuola.

Ma voi, in sostanza, cosa chiedete?

Semplice: una sede dignitosa che possa offrire un luogo di studio e formazione adeguato sia a coloro che oggi sono studenti, sia agli studenti che verranno. Inoltre, chiediamo chiarimenti sulla questione Certosa. Perché non può essere resa agibile? Eppure, sul territorio del Comune di Capri, è il luogo che meglio di tutti si presta ad ospitare i locali del Liceo Classico-Scientifico. Come tutti sappiamo, Capri è morta nei mesi dell’Autunno e dell’Inverno. Il grado di vita sociale si avvicina allo zero. Perdere il Liceo significherebbe aggravare ulteriormente questa situazione. Per noi è cruciale che il Comune di Capri conservi il Liceo. Siamo disposti a prendere in considerazione altre ipotesi che non siano la Certosa. Ma se la Certosa non può essere più una soluzione, vorremmo che ci venisse spiegato, in maniera precisa e circostanziata, perché e che uso ne verrà fatto da oggi in avanti. In considerazione del fatto che, a differenza di quanto avviene ad Anacapri, non pare che al momento ci sia alcun progetto di sviluppo e realizzazione di un plesso scolastico.

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