Cura Ri-Costituente

 

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“Quelli che hanno in animo di occupare le più alte cariche di governo devono possedere tre doti: innanzitutto, attaccamento alla costituzione stabilita, in secondo luogo una grandissima capacità nelle azioni di governo, in terzo luogo virtù e giustizia.”  (Aristotele)

Avrà senza alcun dubbio suscitato grande attenzione e sentimenti contrastanti tra eccitazione e stupore l’iniziativa dell’ANCIM, alla quale hanno aderito anche i due comuni della nostra isola, di richiedere una variante all’art 119 della nostra carta costituzionale. Personalmente sono tra quelli che pur comprendendone in parte lo spirito non ne condivide azione e finalità.

Magari si potrà entrare più nel merito dello specifico articolo 119; ma per un attimo vorrei fermarmi al generale guardando al presupposto che ha spinto i proponenti l’iniziativa: chiedere al Parlamento e di riflesso alla Corte Costituzionale di inserire nella costituzione il riconoscimento di un disagio resta per me paradossale, è come chiedere a Papa Bergoglio di inserire nel Vangelo una nota che dice che siamo tutti fratelli, sì avete capito bene, lo troveremo già scritto!

La carta costituzionale già reca in se i valori e le aspirazioni scritti in maniera da dover essere apprezzati; i tecnicismi, i regolamenti sono affidati agli uomini che intendono applicarla, le costituzioni dei popoli non servono per farsi riconoscere i propri disagi elevandoli a status giuridici, le costituzioni affermano che i disagi e le diseguaglianze non debbano esistere per tutti!

E’ triste, mi lascerete dire, che dopo aver visto la Costituzione, nel nostro recente passato isolano, presa come faro per azioni di lotta ed impegno (avrete sentito parlare di continuità territoriale, di diritto alla salute il famoso articolo 32), vederla adesso relegata al ruolo di impaccio: se non riconosce il nostro disagio non serve.

E’ sbagliato completamente per me l’approccio a quello che pare essere il problema che l’ANCIM si prefigge di affrontare, il punto non era e non è secondo me che le piccole isole vengono bistrattate perché manca uno strumento costituzionale. Mancano? O forse ci sono e non si è capaci di farle valere ed applicare quelle leggi “costituzionalmente” valide che nell’ambito di quei valori e principi “applicano” le azioni a far si che non vi siano disagi e/o diseguaglianze?

Si è fatta partire una petizione per ottenere la modifica dell’art.119 della Costituzione in modo che contenga anche un comma che recita «lo Stato riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità e dispone le misure necessarie a garantire un effettiva parità ed un reale godimento dei diritti individuali ed inalienabili».

Io non sono un costituzionalista né potrei definirmi un esperto, diciamo sono un cittadino “credente”, ma se dobbiamo inserire un comma che richiede misure necessarie a garantire un’effettiva parità ed un reale godimento dei diritti individuali ed inalienabili allora fino ad adesso in cosa ho creduto!?

Io comprendo e se volete vivo il “disagio”, le difficoltà, ma la modifica costituzionale non è la cura, anzi se vogliamo conservare l’immagine clinica è un placebo, ci porta lontano e non serve perché son certo che alla fine qualcuno molto più competente di me e più in alto potrà dirci: quello che chiedete appunto c’è già scritto.

Sbagliare approccio, fermarsi sempre perché manca un’altra legge, perché ci vuole sempre un altro non so che, non avendo però forse contezza di cosa si ha e cosa già si può fare e far valere: questo si è un bel problema e magari prima di partire con le petizioni sarebbe stato bello parlarne pubblicamente insieme, ma forse sarei rimasto unico ed isolato, ed allora va bene così.

Paolo Federico

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